MOSTRA COLLETTIVA, 06_FUORI 2
«Ero architetto-fotografo, sono fotografo-architetto.»
Patrizia Nicolosi nasce come fotografa “dentro” la sua attività di architetto e, in questo senso, dall’architettura viene mano a mano premiata e anche, come ovvio, protetta. Poi nel tempo, Patrizia Nicolosi sente e coltiva una propensione specifica per la fotografia in quanto tale, a favore di quello scatto puro, senza predefinizione di un campo, che conduce inesorabilmente all’abbandono, lento ma deciso, della scena urbana come argomento privilegiato.
Non si domanda, correttamente, se esiste (sicuramente esiste, ma chissà dov’è) un luogo, un argomento, una materialità ora più consoni al suo esprimersi. In poltrona, apre lentamente gli occhi sulla propria quotidianità. Stando la più tranquilla possibile (a questo sembra servire il quotidiano conosciuto, da sé e per sé costruito) lei chiede al proprio obbiettivo “comunque” delle risposte, senza dover apparecchiare morti, nudi o tramonti da sogno.
Vediamo se l’obbiettivo risponde. E cosa. Così facendo Patrizia Nicolosi riduce, o cerca almeno di ridurre, al minimo, i disturbi possibili fra sé e la macchina, con il quotidiano che diviene problema per chi osserva la foto, meno, molto meno, per lei che lo vive in quanto “vissuto”.
Come se, avendo una mostra a Reggio Emilia, lei scattasse le foto nell’ultima ora di viaggio prima dell’inaugurazione, fedele a un “distacco” necessario a esprimersi. Forse.
Massimo Martini