Pezzi Unici: “ la farfalla nella rete – reperto n 17”
“ la farfalla nella rete – reperto n17”
Stampa fotografica – Scatto da video del 3 maggio 2011 alle 9,02
Modello fotocamera COOLPIX S610
Immagine jpeg
La perdita di una centralità stilistica (e la conseguente diaspora dei singoli) ha di fatto contribuito, da molti anni ormai, a separare le attività di ricerca di Patrizia Nicolosi, con la fotografia sempre più lontana dalla “prigionia” del progetto.
Patrizia Nicolosi continua a prediligere la fotografia non come “professione” ma come testimonianza d’arte, all’interno della quale tutto è sottoposto (lontano il progetto e lontana l’aura di una stagione stilistica condivisa) alla sola condizione del rischio dello scatto.
Lei sa che la realtà è trasmigrata in un’immane atmosfera mediatica (almeno per il mondo occidentale, certo non per i migranti planetari, migranti verso un loro dove). Sa anche che nei media tutto si muove, mentre la fotografia è ferma, orfana anche della carta stampata in disuso.
PN proviene da foto in bianco e nero di architetture ricche e di architetture povere. Senza alcuna traccia di esseri umani. Per lo più astratte. Sempre abbandoniche. Anche il bianco e nero è sgranato in infiniti grigi. L’autoreferenzialità di stile è alle porte e questo a lei non piace.
Si è seduta, anzi è rimasta seduta di fronte a uno schermo acceso, ha allungato la mano verso la macchina fotografica anch’essa ormai provvista di uno schermo acceso e ha scattato. Ha trovato il colore e dei fermi fotogramma che in realtà sono scatti d’autore. Così a me sembra.
Soggetti, materie pixel, luci, atmosfere, motivazioni, senso di queste realtà in movimento, tutto ma proprio tutto è lontano dal bianco e nero protettivo, risultato anche delle stampe e delle mani vaganti nel buio di Claudio Bassi. Ora PN si prende quello che viene. Photoshop proprio no.
A chi capiti di osservare per la prima volta una foto di Patrizia Nicolosi vale la pena di ricordare come il suo percorso, da artista, sia stato lungamente incentrato sui temi della città e dei segni dell’architettura. In atmosfere prive di esseri umani, tutte rigidamente in bianco e nero.
Ora, invece, nello scatto c’è qualcosa che lei chiede venga letto, quale che sia il tema, come un semplice “approdo al colore”, una “prova” imposta a se stessa dalla necessità, sempre per PN, di misurarsi con l’uso planetario della foto-video come vera e propria pittura da cavalletto.
Ma lo spettatore è smaliziato e si accorge che questo colore è fin troppo “colorato” perché, per farla breve, l‘autrice è sbarcata direttamente nel mondo dei sogni, senza soffermarsi sui colori del terzo mondo, dei fiori in fiore, dei coleotteri o del palio di siena.
La realtà della fiction è ovviamente una realtà al cubo, specie se frullata dal medium televisivo.
Siamo alle prime prove, per PN color. Si legge come una dichiarazione di intenti, per altro niente affatto sotto tono. Per il resto tutte le letture di tutti sono buone, ognuno si faccia il suo quadro. In un clima di evidente revival del post modern, (di cui lei ha qualche dimestichezza).
Testi di Massimo Martini
Comunicato Stampa
Mostra collettiva di fotografia “Pezzi Unici”, un progetto ideato da Carlo Gallerati e curato da Noemi Pittaluga.
In mostra opere di Cristina Altieri, Carmine Arrivo, Francesco Belli, Andrea Buia, Agostino Cernilli, Daniele Cinciripini, Armando Corsi, David D’Amore, Anna Maria De Antoniis, Marcello Di Donato, Stefano Esposito, Carlo Gallerati, Gianfranco Gallucci, Fabrizio Intonti, Susan Kammerer, Wai Kit Lam, Alan Marcheselli, Gerardo Mitola, Vincenzo Monticelli Cuggiò, Enrico Nicolò, Patrizia Nicolosi, Novella Oliana, Carmen Palermo, Valentina Parisi, Bruno Parretti, Alberto Placidoli, Renata Romagnoli, Hugues Roussel, Franziska Rutz, Fabio Viscardi.
“L’intento della mostra collettiva è quello di presentare alcuni lavori ottenuti attraverso procedimenti in tutto o in parte fotografici e concepiti come opere singole. Pezzi Unici è una delle possibili risposte a coloro che ancora stentano a riconoscere la fotografia come una tecnica artistica. Ciascun autore invitato a esporre, dichiarando l’unicità della propria opera, non nega la fattuale riproducibilità all’infinito del medium, ma si pone, vietandola a se stesso, nell’àmbito culturale consuetamente riservato alla pittura, alla scultura, al disegno e alle altre forme espressive tradizionali. Si ambisce quindi a innescare nello spettatore una riflessione che lo porti a cogliere pienamente la natura artistica di un oggetto fotografico d’autore. La copia unica è così un espediente per ricondurre l’attenzione verso l’assoluta irripetibilità dello sguardo, nell’hic et nunc dello scatto del fotografo e del pensiero d’artista che l’accompagna.” (Noemi Pittaluga)
“La pittura e la scultura non si sono certo estinte e nessuno si sogna di mettere in discussione la loro nobiltà, ma essere prevenuti verso tecniche espressive nuove solo perché si servono di mezzi più sofisticati è un chiaro segno di scarsa apertura mentale. P.F.: Tu noti che questo tipo di diffidenza continua a prevalere? C.G.: Purtroppo sì, nonostante apprezzabili segni di cambiamento siamo ancora molto indietro. La stragrande maggioranza delle persone continua a pensare alla fotografia soltanto come a un arido sistema per riprodurre fedelmente la realtà visibile; e invece si dovrebbe finalmente cominciare tutti a guardare un’immagine fotografica come un’opera visiva in sé, senza vincolare il giudizio sulla sua artisticità allo strumento con cui è stata prodotta. Questo atteggiamento varrebbe in realtà per tutti i risultati della creatività umana: un quadro a olio su tela, un affresco o una statua di marmo non sono opere d’arte per il semplice motivo di essere fatte ‘a mano’; e così una singola fotografia non è necessariamente meno artistica di un collage di foto, o anche di un dipinto o di un bassorilievo, solo in considerazione del minor tempo e della minore applicazione artigianale necessari per produrla. Quelli della manualità o non manualità sono argomenti fin troppo oziosi e quanto mai inefficaci per escludere a priori il potenziale valore artistico di un oggetto. È ovvio che questo gli addetti ai lavori lo sanno perfettamente: a non saperlo è il pubblico, e infatti un pubblico della fotografia quasi non esiste; almeno in Italia ancora non se ne può parlare: pochissimi collezionisti, pochissimi mecenati, pochissime istituzioni disposte a investire, ma anche pochissimi galleristi con mentalità imprenditoriale. P.F.: Del resto la fotografia non è più neanche recentissima tra le tecniche moderne applicate a fini estetici. C.G.: Infatti. Per rendersene conto basta rivedere attentamente alcuni film stranieri degli anni Cinquanta o Sessanta: già allora v’era oltreoceano qualcuno che sceglieva di arredare le pareti del proprio appartamento con stampe fotografiche d’autore. Da noi però è molto diverso. E non è necessario guardare solo all’esempio statunitense; certo, lì succede tutto molto prima (nel bene e nel male, ovviamente) ma nei settori della cultura e dell’arte anche la Gran Bretagna, la Scandinavia e molti paesi della Mitteleuropa viaggiano anni luce avanti a noi.”
(da ‘Fotografie senza frontiere’, intervista di Pierfrancesco Fimiani a Carlo Gallerati, in Urbs, Civitas, Sanctitas, Roma, Banca di Credito Cooperativo, 2003)