LUNEDI 11 NOVEMBRE /VENERDI 29 NOVEMBRE
Quando le tele 40 x 20 cominciarono ad accumularsi, il titolo dell’opera di Beckett divenne sempre più potente senza che io ne capissi il significato. Il carattere assurdo, ossessivo, patetico, a volte comico e profondamente umano della commedia di Beckett mi aveva fortemente segnato quando l’avevo vista nella mia adolescenza. Oggi mi interessa di più la forma dell’opera, con il suo numero di scene imprevedibili, come se ci fossero altre scene e altre ancora senza sapere dove dovrebbe condurci. L’unico conto possibile nell’opera di Beckett è quello delle due date, una sulla prima pagina e l’altra sull’ultima.
Come riferimento a Beckett, il primo dipinto della serie ha una data sul dorso e l’ultimo dipinto un’altra data.
In pittura, che si tratti di un’opera seriale o meno, sembra che il prossimo quadro, certamente in dialogo o in risposta a quanto sopra, dovrebbe essere sempre nuovo, più vicino a ciò che stiamo cercando, diverso e ancora più vero. È così che si continua di tela in tela per ascoltare questa attesa.
Nel lavoro in process, in particolare nel lavoro seriale, la pittura si genera secondo una logica propria, tra ripetizioni e variazioni, continuità e rotture, formando un insieme coerente nella sua diversità e unità. I colori, i tocchi, i gesti ritornano inevitabilmente ma anche si contraddicono a vicenda, provocando la nuova tela, quella che speravamo, l’inatteso – atteso, l’evento tela per la sua unicità, la sua evidenza, quella che dà senso alla tela della porta accanto ma anche al tutto. Infine, come le scene della commedia di Beckett, è sempre quella che ci aspettiamo e che dovrebbe avere senso. Eppure non succede davvero nulla. Senza dare chiavi di lettura, è il processo che ha senso, consegnando il tutto al nostro sguardo errante. Il dialogo è molto tra due dipinti come nel gioco di Beckett tra Pozzo e Lucky, ma questo dialogo dà vita ad altre scene, altri dialoghi, altri dialoghi, dialoghi dell’attesa. Aspettiamo Godot, aspettiamo la tela che dovrebbe venire e infine sono tutti i dialoghi, il loro clima di incertezza e fragilità a dominare.
PRESS RELEASE 2
Venue AOCF58 – Galleria BRUNO LISI, via Flaminia 58 – Roma (metro A line, Flaminio stop)
Artist CLAUDIE LAKS
Title Aspettando Godot
Opening Monday 11th November, 6 pm
Period from 11th to 29th November 2019
Timetable from Monday to Friday, 4.30 – 7.00 pm (closed on Saturdays and public holidays)
When the 40 x 20 cm canvases started gathering up, the title of Beckett’s work became more and more powerful without me understanding its meaning. The absurd, obsessive, pathetic, sometimes comic and deeply human character of Beckett’s comedy left a strong mark on me when I saw it as a teenager. Today I am more interested in the form of the work – with its number of unpredictable scenes, as if there were more and more scenes, without knowing where it should lead us. The only possible count, in Beckett’s work, is the one of the two dates, one on the first page and the other on the last.
As a reference to Beckett, the first picture of the series has a date on the back, and the last has another date.
In painting, whether it is a serial work or not, it seems that the following picture, certainly in dialogue with or in response to what came before, should always be new, nearer to what we are looking for, different and even truer. It is the way we continue, from picture to picture, in order to pay attention to this wait.
In the in process work, especially in serial work, painting generates itself following its own logic, between repetitions and variations, continuities and breaks, forming a totality, coherent in its diversity and unity. The colours, the strokes, the gestures unavoidably return, but they also contradict each other, provoking the new canvas, the one we hoped, the unexpected-expected, the “painting” event due to its unicity, its evidence, which gives sense to the next-door picture but also to the whole. Eventually, like the scenes of Beckett’s comedy, it is always what we expect and which should make sense. Yet, nothing happens. Without giving interpretations, the process is what makes sense, delivering the whole to our wandering gaze. The dialogue is much between two paintings as in Beckett’s game between Pozzo and Lucky, but this dialogue gives birth to other scenes, more dialogue, more dialogue, dialogues of the wait. We wait for Godot, we wait for the picture that should come and, in the end, all of the dialogues, their uncertainty and weakness, dominate.