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24/26  febbraio  2017

          

VIDEODOCUMENTARIO DI ALESSANDRO TESEI

a cura di Annalisa Filonzi

 

Da quando nel 1965 uscì sul mercato la prima telecamera portatile e il primo videoregistratore della Sony, l’applicazione principale di questi strumenti nel campo dell’arte – prima di diventare sperimentale nel senso di ricerca come nuovo linguaggio – fu quello di testimoniare il presente delle azioni artistiche, e quindi tutte quelle performance e azioni del periodo Concettuale di cui con le sole foto si sarebbero perse componenti essenziali, come l’audio e il movimento.
Ora quello di testimone è un ruolo che si disegna bene intorno al regista Alessandro Tesei, fin dal suo esordio esploratore di contesti urbani e sociali guardati dopo il disastro, in situazioni in cui l’abbandono diventa un monito per una rovina che è solo responsabilità dell’uomo.
Alla Galleria Bruno Lisi viene dunque presentato, a cura di Annalisa Filonzi, un videodocumentario dal titolo ” Fukushima no Daimyo” (Il Signore di Fukushima) (2014, 20’) che è una testimonianza del disastro ambientale e sociale avvenuto in Giappone dopo il terremoto del marzo 2011.
È stato girato circa due anni dopo, accedendo alla zona proibita, e mostra una natura che prende il sopravvento rispetto agli edifici e agli altri oggetti costruiti dall’uomo, che oggi non li abita più. Nelle immagini in bianco e nero delle strade deserte, l’unica forma di vita è quella artificiale: l’illuminazione elettrica che al crepuscolo si accende e la voce meccanica di un altoparlante, che ripete nel vuoto il messaggio di abbandonare l’area contaminata.
Ma l’intento di queste immagini, sebbene studiate sia nella scelta dell’inquadratura che nell’elaborazione del colore, non è poetico nella volontà dell’autore, ma di denuncia. La vera poesia sta nello sguardo e nell’azione di resistenza di Masami Yoshizawa, il signore di Fukushima, un allevatore della zona, ripreso in un’intervista che si intreccia alle immagini quasi statiche dei luoghi, il quale non ha mai lasciato la zona di evacuazione, continuando ad allevare gli animali, e decidendo di dedicare il resto della sua vita a far conoscere le conseguenze della radioattività, per un Giappone libero dal nucleare.

Kibou si chiama la sua fattoria, “speranza”, per un’umanità non più dominata solo da interessi economici.
Masami in questo senso compie, con la sua vita, pur inconsapevolmente, un atto artistico, cioè simbolico.
Non ha alcun senso continuare a svolgere il suo lavoro in quelle terre: ma Masami è consapevole che, se lo farà, potrà mostrare, nel futuro, le conseguenze delle scelte sbagliate dell’uomo sulla natura.
È un atto programmato, consapevole, l’azione di un artista relazionale, più che di un allevatore. “È giusto poter scegliere” dice nel video, riferendosi agli anziani che non potranno più tornare nelle loro case, e neanche più onorare i propri avi. La sua scelta è forse collocabile più vicino alla saggezza popolare, alla cocciutaggine del contadino, alla spontaneità di chi con la natura è abituato a convivere, sebbene sappia che è lei la più forte, rispetto all’uomo. Eppure il suo volto e le sue parole, mostrati oggi in galleria, insieme agli scatti che costituiscono lo storyboard del progetto, che mostrano insieme il dentro e il fuori delle conseguenze dell’incidente, non sono solo una documentazione diretta di una poetica postnucleare, ma riportano attenzione sul ruolo dell’artista come testimone e osservatore attento della realtà e quindi di denunciatore di situazioni di estremo pericolo della società e, potenzialmente, di provocatore di reazioni.

 

 

Fukushima no Daimyo

(Il Signore di Fukushima)

2014

Durata 20’

Riprese, sceneggiatura, regia, montaggio: Alessandro Tesei

Fotografia: Alessandro Tesei, Pierpaolo Mittica

Traduzioni e consulenza linguistica: Nao Ishiyama, Michele Marcolin

Ost: Satami Yanagibashi “Lascia ch’io pianga”, Giulio D’Agostino “Canon in D Major”

Supporto basistico: Michele Marcolin, Mikiko Kobayashi, Katsuhiro Yoshida, Mutsumi Yoshida

Calligraphy artwork: Massimiliano Giorgi

Special partner: Mondo in Cammino

 

Alessandro Tesei

Cresciuto nella splendida regione delle Marche, in Italia, si diploma in Arti visive e multimediali all’Accademia di Belle Arti di Macerata, con tesi sul documentario sociale. Ispirato da maestri come Herzog, Pasolini, Ciprì e Maresco, decide di intraprendere la strada del documentario sociale. Trascorre alcuni anni sperimentando varie discipline artistiche, come la scultura, la performance, il teatro, e prendendo parte a diverse mostre, tra cui il 52° Festival dei due Mondi di Spoleto. Nel 2008 si trasferisce in Irlanda, dove collabora come fotografo e videomaker con il famoso artista Kevin Sharkey.

Nel 2011, dopo l’incidente di Fukushima, decide di indagare e di raccontare la storia delle persone che vivono nelle zone contaminate. Da questa esperienza nasce il lungometraggio documentario “Fukushame – Il Giappone perduto”, vincitore dell’Energy Award al “Festival del Cinema Verde” (USA) e del prestigioso Yellow Oscar all’ “Uranium Film Festival” (Brasile).

Nel 2012 ritorna nella prefettura di Fukushima, per documentare la riapertura di una parte della zona evacuata e intervistare uno degli uomini simbolo del disastro, l’allevatore Masami Yoshizawa, che è il protagonista del cortometraggio “Fukushima no Daimyo”, vincitore di numerosi festival in Italia e all’estero.

Nel 2013, per la Onlus italiana “Mondo in Cammino”, si reca, insieme al fotografo umanista Pierpaolo Mittica ed al ricercatore Michele Marcolin, nella regione di Chelyabinsk, in Russia, luogo di uno dei maggiori incidenti nucleari della storia, per studiare le conseguenze della contaminazione radioattiva prolungata sul corpo umano e sulla nuove generazioni, e creare il documentario “Behind the Urals – The Nightmare before Chernobyl”.

Sempre in Russia, sviluppa un reportage su Karabash e Magnitogorsk, due fra le città più inquinate al mondo.

Attualmente sta lavorando su vari progetti documentari, con il governo Maltese sulla figura della donna e l’emancipazione femminile a Malta, con il giornalista Andi Radiu ad un nuovo progetto riguardante la massiccia emigrazione dei cittadini romeni nei paesi europei, e con l’Associazione Mondo in Cammino per due documentari su Chernobyl.

Conferenze:

2014 – Carmagnola (TO): “Non tacere”, conferenza sul giornalismo e reportage in zone di guerra o inquinate

2015 – L’Aquila: “I giorni di Fukushima”, conferenza sulla situazione giapponese dopo Fukushima.

2015  - Tunisi: World Social Forum come relatore sui rischi dell’energia nucleare.

2015 – San Benedetto del Tronto (AP): “Scatti dalle No Go Zones”, conferenza sul lavoro di reportage nelle zone inaccessibili.

2017 – Jesi: “Nucleare a chi?”, conferenza sull’attuale situazione italiana e globale delle centrali nucleari

 

dic 212016
 

9/27 gennaio 2017

 

 

Dunque calore e colore come filo conduttore della mostra di Dentoni che, puntando tutto sulla genuinità e la spontaneità delle espressioni del volto del popolo senegalese, riesce a farci entrare senza fatica in una realtà così distante e per certi versi remota come quella delle tribù africane, vissute da vicino dal fotografo che ha già avuto la possibilità di visitare il paese africano in due occasioni. Gli occhi, i sorrisi, ma anche le rughe e le imperfezioni come veicolo per ritrarre un popolo che accoglie, scalda, e che inevitabilmente finisce per abbagliarti con la sua luce e le sue sfumature cromatiche, perfettamente riassunte nelle istantanee dei vestiti e dei tipici copricapi locali. Un percorso toccante e coinvolgente quello che si trova a provare lo spettatore davanti ai ritratti di “C@lore”, in un crescendo emozionale che trova conferme nelle parole di Matteo, che fissa così i ricordi più vivi del suo viaggio in Senegal e i punti chiave della sua retrospettiva: “Gli occhi sono lo specchio dell’anima, solo la spontaneità permette di cogliere la naturalezza di uno sguardo. Tutto avviene in un click, che è quell’istante prima della consapevolezza. Queste foto sono il risultato di un viaggio e illustrano il mio percorso personale verso l’Africa. Un percorso iniziato in Italia, nato dalla sensazione di “calore” che avvertivo stando insieme ai ragazzi senegalesi, un viaggio in crescendo che mi ha portato nella loro terra, dove il calore che percepivo è esploso in qualcosa di molto più grande che io rappresento attraverso il colore”.

Un’Africa incontenibile, selvaggia ma nello stesso tempo confortante quella offerta dagli scatti di Matteo, perfettamente in linea con il senso di “Con-vivere”, che sin dalla prima edizione si è proposto di aprire squarci e occasioni di conoscenza delle più diverse culture e tradizioni, con l’intento di proporre spunti di riflessione e slanci propositivi per una sana convivenza.

Giacomo Bertolini

 

FOTOGRAFARE

Per me fare foto è puro istinto, è qualcosa che viaggia  al di fuori degli schemi della ragione, è pura libertà.
Naturalmente nel “tutto”, a me interessa il lato umano della questione, penso che solamente dentro di noi possiamo trovare la forza per tornare ad essere quello che siamo.
Rimango sempre abbagliato dalla luce, il mezzo tecnico, nel mio caso la macchina fotografica, diventa il ponte di collegamento tra quello che prova il soggetto che sto fotografando e quello che provo io.
Quello che cerco di catturare non è qualcosa di tangibile e concreto ma qualcosa che va al di fuori della forma e della materia, è più un brivido, la sensazione di un istante infinito.

Matteo Dentoni

 

MATTEO DENTONI nasce a Carrara, dove tuttora vive, il 18/12/1978.
Laureato in Arte Multimediali, specializzazione in fotografia, all’Accademia di Belle Arti di Carrara ha collaborato nel 2014 alla rassegna “Con_Vivere. Africa il cuore del pianeta”, dove ha avuto la possibilità di mostrare i suoi scatti realizzati in Senegal all’interno della sua mostra personale “C@lore”. Nello stesso anno collabora con “Meid in Italy” nella realizzazione di una mostra incentrata sull’alluvione che ha colpito Marina di Carrara nel novembre 2014, raccogliendo in una serie di fotografie sguardi e immagini di quei giorni. Parallela all’attività di fotografo svolge da anni quella di bagnino di salvataggio.

 

 

Warmth and colour are the central theme of Dentoni’s exhibition in which he solely relies on the authenticity and spontaneity of the Senegalese people’s facial expressions, and manages to effortlessly take us into a reality so distant and in some way remote like the one of the African tribes; a reality which the photographer experienced, having had the opportunity to visit the African country on two occasions. Eyes, smiles, but also wrinkles and imperfections as a vehicle to portray a nation that welcomes, warms, and inevitably ends up dazzling you with its light and chromatic shades, perfectly summed up in the snapshots of the clothes and typical headgears of the local people. The viewers find themselves in a touching and captivating path composed by the portraits of “C@lore”, in an emotional crescendo legitimated by Matteo’s own words in defining the most vivid memories of his trip to Senegal and the key points of his retrospective: “The eyes are the mirror to the soul, only spontaneity allows us to capture the simplicity of a look. Everything happens in a click, that is the moment before awareness. These photographs are the result of a trip and illustrate my own personal journey to Africa. A journey that began in Italy, born from the “warmth” I felt when I met with Senegalese young men, and which progressively took me to their homeland where that warmth I used to feel exploded into something much bigger, which I represent through colour”.

The Africa offered by Matteo’s shots is an irrepressible Africa, wild but comforting at the same time; perfectly in line with the sense of “Co-existing”, that since our first edition intended to open up ways and opportunities to get to know different cultures and traditions, with the intent of offering food for thought and proactive stimuli for a healthy coexistence.

Giacomo Bertolini

 

TO PHOTOGRAPH
To me taking pictures is pure instinct. It is something that travels outside the patterns of reason, it is pure freedom.
Of course I’m only interested in the human side of the “whole”, I think it’s only in ourselves that we can find the strength to go back and be who we are.
I’m always dazzled by the light, the technical means – in my case the camera – becomes the bridge between what the subject I am photographing feels and what I feel.
What I try to capture is not something tangible and concrete but something that is out of shape and matter, it’s more like a thrill, the feeling of an endless moment. Matteo Dentoni